La ricerca dell'arte marziale fra tradizione e innovazione

Nel 1983 il Maestro Kenji Tokitsu codificò lo Shaolin mon. Il nome scelto emblematico del percorso: Shaolin fa riferimento allo shaolinquan, l'arte del combattimento cinese della scuola Shaolin, mentre mon indica la porta che si trova tra l'arte del combattimento cinese e il karate. Un metodo che una sintesi originale delle arti di combattimento giapponesi e cinesi mentre riprende, con un nuovo spirito, il tradizionale obiettivo delle arti marziali: la ricerca di un efficacia che può durare per tutta la vita, perché crea salute e benessere. (Tratto da "Vibrazioni nella forza" di Francesco Rossena e Marcello Vernengo)

foto del M° TokitsuKenji Tokitsu nasce nel 1947 in Giappone, a Yamaguchi. Come tutti i bambini giapponesi, apprende i rudimenti del sumo praticato come forma di gioco all'asilo per poi avvicinarsi alle arti marziali a dieci anni, praticando kendo e karate. A dodici anni interrompe tutte le attività marziali per dedicarsi a baseball e atletica.
A quindici anni - racconta - in piena crisi adolescenziale rifletteva così sul proprio malessere: "Un giorno, mentre camminavo alla volta del liceo in un chiaro mattino di primavera, mentre la macchia scura della mia ombra si proiettava sul sentiero sterrato sovrastante i campi di riso, volli sforzarmi di camminare per davvero, d'essere presente ad ogni passo; ma invano".

foto del M° FunakoshiQuest'esperienza diventa una questione essenziale per Tokitsu e determina il suo impegno per le arti marziali. Interrogandosi sulla futilità del gioco e sulla liceità di impiegare il proprio tempo, risolve quest'ansia di essere tornando a praticare le arti marziali in un dojo del karate Shito Ryu. Quattro anni dopo in concomitanza con il suo ingresso all'università di Hitotsubashi di Tokio passa alla scuola shotokan. Affiliato alla Japan Karate association (Jka), quello di Hitotsubashi è un dojo storicamente importante per l'evoluzione del karate, dove all'epoca il maestro più anziano è Gima Shinkin (1896-1989), allievo prediletto di Gichin Funakoshi e suo partner durante una celeberrima dimostrazione tenuta in Giappone nel 1922.

foto del M° Taiji KaseGli insegnanti diretti di Tokitsu sono allievi di Taiji Kase (1929-2004) – di fama indiscussa e residente a Parigi dal 1965 alla morte – e sono essi stessi a proporgli di trasferirsi in Francia come assistente del maestro quando raggiunge il grado di terzo dan. Una proposta che lo attrae, ma che lo mette in conflitto con l’alternativa di restare in Giappone dove ha un avvenire assicurato avendo ricevuto proposte d’impiego da più imprese. In ballo, peraltro, oltre al suo futuro c’è anche la responsabilità verso sua madre, giacché Tokitsu è orfano di padre sin dalla tenera età. Nonostante le grandi incertezze, decide infine di trasferirsi a Parigi, investendo dunque tutto se stesso in questa scelta.

Dopo il conseguimento in patria della laurea in Lingua e civilizzazione giapponese all’università Hitotsubashi di Tokyo con una tesi sullo scrittore Yukio Mishima, Tokitsu ottiene il riconoscimento del titolo anche in Francia, si iscrive ai corsi universitari e contemporaneamente avvia una riflessione sul karate che lo porta nel 1974, dopo dodici anni di pratica, a muovere le prime critiche alla scuola shotokan. Secondo la sua opinione troppi praticanti superati i trentacinque anni soffrono per i traumi causati dalle forti sollecitazioni a schiena e articolazioni. Inoltre, osserva, la pratica sportiva del karate ha conservato ben poco delle sue originali caratteristiche.
Per queste ragioni torna in Giappone e avvia una ricerca sul tipo di karate praticato concretamente da Funakoshi. Incontrando i suoi allievi diretti – tra questi, i maestri Shozan Kubota e Takagi Fusajiro – registra le differenze tra il loro modo di praticare e quello insegnato ai praticanti shotokan della Japan Karate Association. Prosegue le sue ricerche per risalire alle radici più antiche della pratica e studia lo stile shorin ryu di Okinawa. Abbandonato definitivamente lo shotokan, si dedica interamente alla sua ricerca e durante i soggiorni in Giappone scopre e inizia a praticare il taijiquan, studiando lo stile Yang con Yo Meiji, il Chen con Matsuda Ruyuchi e quindi uno stile particolare definito taijiquan di Sintesi con Wang Fu Lai.

foto del M° SawaiLa pratica e lo studio del taijiquan lo portano a considerare il corpo come un insieme liquido, cosa che influisce direttamente sulle tecniche e sulla conduzione del combattimento, ponendo Tokitsu agli antipodi del rigido registro che predomina nella pratica del karate contemporaneo. Più tardi, egli incontra un maestro eccezionale, Nishino Kozo. Già allievo del maestro Kenichi Sawai, fondatore del taikiken – versione giapponese della disciplina cinese yiquan – Nishino ha creato una propria scuola basata su un metodo paragonabile a un esercizio di qigong molto efficace, che supera ampiamente l’ambito delle arti marziali ed è interessante nella prospettiva di una pratica a lungo termine. 

Fino al 1983 Tokitsu si è limitato a praticare e insegnare fedelmente ciò che aveva appreso, ma in quell’anno creò a Parigi la Shaolin mon-Karate do, che iniziò a strutturare un metodo proprio. Il nome scelto è emblematico del percorso: Shaolin fa riferimento allo shaolinquan, l’arte del combattimento cinese della scuola Shaolin, mentre mon indica la porta che si trova tra l’arte del combattimento cinese e il karate. Un metodo che è una sintesi originale delle arti di combattimento giapponesi e cinesi mentre riprende, con un nuovo spirito, il tradizionale obiettivo delle arti marziali: la ricerca di un’efficacia che può durare per tutta la vita, perché crea salute e benessere.
Tokitsu sostiene che l’efficacia ha due aspetti: uno immediato e uno a lungo termine. E’ necessario che la tecnica sia applicabile e rapidamente efficace, pertanto si deve ottenere una capacità tecnica in un paio d’anni ma essa deve aumentare e svilupparsi molto di più nel lungo periodo. Se un praticante molto forte a venti o trenta anni diminuisce la sua efficacia dopo i quaranta e in seguito bisogna ammettere che il metodo non è valido. Un buon metodo d’arte marziale deve assicurare una tecnica efficace e uno sviluppo energetico, elemento essenziale della longevità.
foto del M° KurodaPer realizzare questa sua idea, Tokitsu utilizza il taijiquan che offre un ampio registro tecnico e un indiscusso rafforzamento energetico. Inizia così un lavoro di revisione, ogni azione viene studiata e applicata su avversari diversi, sia dal punto di vista delle percussioni sia da quella delle leve articolari e del tui shou, ogni gesto deve avere un senso tecnico preciso e mantenere il principio energetico sotteso. Tokitsu modifica allora alcuni movimenti e posizioni del corpo rispetto allo stile originario, ma quello che per lui è importante è la concretezza che questa forma assume a differenza di coloro che pongono maggiore attenzione all’estetica corporale dello stile marziale.

Nel 1989 torna in Giappone per approfondire la sua conoscenza di iaijutsu e kenjutsu con Tetsuzan Kuroda.

A metà degli anni Novanta, Tokitsu inizia una stretta collaborazione con Toshihiko Yayama, immunologo, responsabile dei reparti di chirurgia e di medicina orientale al Kenritsu Byoin Kosekan, ospedale della prefettura di Saga in Giappone.

Ecco come egli stesso racconta l’incontro, in una pagina che ha un notevole valore di testimonianza e che dunque merita di essere riportata per intero in una traduzione dal francese a cura di chi scrive :
foto del doot. Yayama“Nel 1995, sono stato molto piacevolmente sorpreso nel leggere un libro intitolato: Ki no ningengaku [Lo studio dell’uomo attraverso il ki, N.d.A.]. Questo libro era stato scritto da Toshihiko Yayama, chirurgo oncologo all’Ospedale Principale della Prefettura di Saga in Giappone. Sono rimasto impressionato da due elementi: la chiarezza dell’esposizione del suo metodo e l’efficacia attestata dal numero di guarigioni dei suoi pazienti. Gli ho scritto immediatamente per domandargli un appuntamento. Fu così che all’inizio dell’anno 1996 mi sono recato all’Ospedale di Saga in Giappone con mia moglie e uno dei miei amici giapponesi. Il dottor Yayama dirigeva un reparto specializzato d’oncologia all’Ospedale e curava le diverse malattie in funzione della diagnosi, sia attraverso i moderni metodi della medicina occidentale, sia con il metodo di qi gong da lui messo a punto, sia con una combinazione dei due metodi. La guarigione di numerosi malati attraverso quest’ultimo metodo è attestato dal fatto che le cure sono rimborsate dall’equivalente Servizio Sanitario Nazionale giapponese. Il dottor Yayama ci ha ricevuto inizialmente nel suo ambulatorio di quest’Ospedale. Prima di discutere di qi gong, ci ha osservati per un breve momento uno dopo l’altro ed ha scritto qualcosa su un foglio di carta. In seguito ci ha sentito il polso e ha aggiunto qualcosa su quel foglio. Ha disegnato la forma dell’aura che contorna il nostro corpo. Comprendeva tre strati. Dalla forma dell’aura e dalle caratteristiche dei polsi ci ha dato lo stato della nostra salute. Per i miei due compagni, la maggior parte dei punti che gli ha indicato confermava i problemi che già conoscevano. Gli spiegò la causa e la correlazione dei problemi.
Mostrando il foglio mi disse: «Quanto a voi, la vostra salute è eccellente. Avete l’energia molto sviluppata soprattutto nella parte inferiore del corpo». In seguito mi ha esaminato e mi ha spiegato mostrandomi un altro schema:
«Ecco il percorso della vostra vita sino ad oggi. La vostra vita ha avuto un radicale cambiamento all’età di 23 anni». Era l’anno in cui io lasciai il Giappone, cosa che fu il cambiamento più importante della mia vita. Il dottor Yayama non poteva saperlo. Mi ha spiegato in seguito diverse cose mostrandomi il suo schema. Tutto quello che diceva corrispondeva a quello che avevo vissuto. Aggiunse: «La vita dell’uomo è registrata nel suo ki. Ho imparato a percepirlo praticando il metodo che ho elaborato e messo a punto. Non sono un genio. Di conseguenza, ciascuno può acquisire delle capacità simili con questo metodo».
foto del Mà Tokitsu con il Dott. YayamaHo conosciuto molti maestri di qi gong che avevano delle capacità "innate", a volte spettacolari. Ciononostante il metodo che insegnano non è sicuro che aumenti le capacità degli allievi. Una tale situazione contribuisce spesso a rafforzare il potere carismatico dei maestri sui loro allievi, giungendo alla formazione delle sette. Il dottor Yayama dice: «Il valore di un metodo si misura non attraverso la capacità del maestro fondatore, ma tramite la qualità ed il livello degli allievi che lo praticano». In effetti, il suo metodo e la sua pedagogia permettono a tutti di sviluppare delle capacità e questo indipendentemente da "doni" innati. Quest’aspetto mi ha particolarmente attirato.
Il dottor Yayama ci ha condotto in seguito nel suo laboratorio privato dove ci ha mostrato il taiji quan che aveva elaborato rapportandolo con il suo metodo di kikô. La parola kikô è generalmente compresa come traduzione giapponese di qi gong cinese, ma ci sono alcune differenze di contenuto. Nel kikô del dottor Yayama ci sono più elementi: il qi gong cinese, lo yoga, le arti marziali, il buddismo esoterico, le medicine tradizionali cinesi e giapponesi e la medicina occidentale. E’ perché vogliamo stabilire una distinzione tra il kikô ed il qi gong.
Gli ho mostrato il mio taiji quan. Abbiamo fatto così degli scambi. Aveva praticato il karate per una ventina d’anni così come il kendo e l’aikido, cosa che ci ha avvicinato maggiormente. In effetti, da quel giorno abbiamo iniziato a coltivare la nostra amicizia e collaborazione. Manifestò un grande interesse per la mia pratica d’arti marziali. Da qui hanno iniziato i nostri scambi. Ma in materia di kikô, non c’è alcun dubbio, è nettamente più avanzato. E’ il mio maestro in questo campo.”

La pratica del kikô con la conseguente maturazione corporale pone Tokitsu di fronte a un nuovo problema: la contraddizione tra il corpo che cambia e la tecnica immutabile. Ancora una pagina di grande interesse dello stesso Tokitsu illustra le sue riflessioni su questo tema cruciale che riguarda l’intero corpo delle discipline orientali:
“Un praticante d’arti marziali deve affrontare la realtà della sua persona. Il corpo vivo è mutevole e si trasforma con l’età e la pratica. Situando la tecnica nella dimensione temporale della vita, come possiamo concepirla come uno schema fisso e rigido? In effetti, molti praticano nell’ambito di una istituzione che offre loro la rigidità e l’immobilità del sapere, in breve, delle tecniche morte. La maggioranza delle persone sembrano ricercare questa forma di stabilità nella loro scuola. Chi cerca la stabilità nell’organizzazione e nel sistema, non ha la forza di stabilizzare il proprio spirito nella realtà che si trasforma. È proprio il contrario del concetto di Budô. Il Budô non è una istituzione che tranquillizza uno spirito stretto per mezzo della carta di un diploma. È la stabilità nel vostro spirito e nella vostra personalità che vi permette, nel corso della vita, di affrontare situazioni che mutano senza essere disturbati. Per chi concepisce la scuola come un insieme di codici, dal momento della fondazione non sarebbe assolutamente necessario cambiare nulla. Questa forma di stabilità è, a mio parere, la morte dell’arte".

il M° Tokitsu in allenamento con le due spadeDal punto di vista formativo, la ricerca cosciente consiste nella propria formazione attraverso la capacità di investire profondamente se stessi in un gesto. In una forma più moderna il budô ripropone dunque la ricerca della perfezione. Questa ricerca trova infine uno sbocco nella possibilità di applicare questa ricchezza culturale a una pratica contemporanea. Penso che il budô ci proponga un ambito di studio nel quale noi possiamo ricercare differenti possibilità di formazione e dove l’educazione fisica si apre sull’introspezione. Il discorso filosofico e l’etica delle arti marziali giapponesi o del budô si fondano su una concezione buddista e shintoista del mondo e dell’universo, dove l’assoluto non esiste ed ogni cosa è relativa ad un’altra: il Dio-assoluto è assente in quest’universo. Conosco alcuni maestri giapponesi di fede cristiana, ma quest’ultima non impedisce loro di essere sensibili in modo buddhista e shintoista all’energia universale. L’idea di autoformazione, basata su questo modo di concepire il mondo e su questa forma di sensibilità, è centrale nel budô. Il presupposto che ciascun uomo sia capace di aspirare alla perfezione percorrendo la via fa si che lo sviluppo di questo concetto, nell’ambito di prospettive culturali diverse, sia in qualche modo un prolungamento della generosità della logica buddhista: cancellare se stessi facendo nascere un’opera nuova. Alcuni ricercatori occidentali definiscono il budô per mezzo dei tratti comuni osservabili nelle arti marziali di origine diverse ma la particolarità fondamentale del budô risiede nel concetto formativo piuttosto che nelle particolarità gestuali di tali discipline. ”

Nel 1996, queste riflessioni portano Tokitsu a cambiare il nome della scuola in Shaolin mon-Jisei Budo, dove gli ultimi termini significano “crearsi creando”. Attualmente il nome del metodo e della scuola è Tokitsu ryu, che paradossalmente non indica alcuna arte marziale, ponendosi invece come strumento di autoformazione che ogni praticante può calare nella propria concreta quotidianità.
Kenji Tokitsu è un personaggio atipico nel panorama delle arti marziali, per varie ragioni che vale la pena di ricordare, a cominciare dalla qualità della sua cultura. Dopo la laurea, nel 1982  conseguì il dottorato di ricerca in Sociologia presso l’università Renè Descartes Parigi V con una tesi sul ruolo e le trasformazioni della cultura tradizionale nella società contemporanea giapponese. Due anni dopo redasse una ricerca per conto del Ministero francese dello Sport su tecniche e metodi didattici tradizionali e contemporanei delle arti marziali giapponesi e nel 1993 ottenne un altro dottorato di ricerca in Lingua e Civilizzazione Orientale presso l’università di Parigi VII con una tesi su Miyamoto Musashi. Divulgatore appassionato, tiene conferenze, scrive per numerose riviste specializzate e ha pubblicato numerosi volumi. Praticante indipendente e perciò criticato per la mancata appartenenza a un gruppo ufficiale di yiquan, taikiken o taijiquan, risponde che la sua pratica non appartiene a nessuna di queste discipline pur allenandosi intensamente in ognuno di questi metodi, per lui importanti ma non esclusivi. Maestro inusuale, dice:
"Mi alleno quotidianamente solo per me stesso, non per insegnare ai miei allievi. In seguito comunico una parte di ciò che imparo a chi mi segue su questo cammino del Budô. L’obiettivo del Budô è la formazione dell’uomo. Non si tratta di formare qualcuno o di lasciarsi formare da qualcuno. È necessario ‘autoformarsi’. Ciascuno deve formare se stesso. Si pratica per se stessi e non per altri. Il Maestro è chi aiuta il proprio allievo o discepolo all’auto-formazione. Esiste dunque una differenza fondamentale tra un Maestro, cosi definito, ed un ‘guru’, che impone ai suoi discepoli un modo di pensare e di agire. Io ho sempre rifiutato di diventare un ‘guru’ o di seguire ‘cammini’ esoterici”.

il M° Wang XiaL’originale ricerca di Kenji Tokitsu lo ha portato a dare centralità al concetto e alla pratica dell’espressione corporea. L’espressione corporea è uno strumento per la coscienza, conoscenza e gestione di sé. Superato il dualismo corpo-mente di cartesiana memoria, Alexander Lowen ha scritto: “l’organismo vivente si esprime più chiaramente con il movimento che non con le parole. Ma non solo con il movimento! Nelle pose, nelle posizioni e nell’atteggiamento che assume, in ogni gesto, l’organismo parla un linguaggio che anticipa e trascende quello verbale” .
L’espressione corporea ha la sua massima espressione in arti come teatro e danza, ma anche in quelle marziali. Anticamente le tecniche di combattimento tradizionale venivano tramandate oralmente a pochi prescelti e spesso le tecniche più segrete venivano dissimulate nelle arti autoctotone di teatro e ballo.  Nel teatro danza indiano kathakali si possono notare somiglianze con l’arte marziale del kalaripayat, nella gestualità della danza ryukyu buyo di Okinawa si ritrovano tecniche del karate classico e nella danza coreana del taekkyou sono evidenti movenze proprie del taekwondo. Ma la relazione fra danza e arti di combattimento si evidenzia ancora di più in altre discipline. La capoeira brasiliana, per esempio, è una forma di combattimento espressa in forma di danza acrobatica. Il famoso maestro d’arti marziali cinesi Wang Xiang Zhai diede origine ad una forma di combattimento chiamato jianwu, dove i movimenti marziali si fondono in un’armonia spazio temporale dando origine a una danza marziale.

la danza dell'energiaAnche Kenji Tokitsu ha creato una forma d’espressione corporea, la danza dell’energia, basata sul piacere di muoversi in modo spontaneo ed armonioso con i movimenti di base che prendono origine dalle spirali che stimolano il daishuten, grande circuito celeste. Attraverso una serie di esercizi convenzionali si crea e ricerca una particolare sensazione che consiste nel rendere il corpo permeabile all’energia della terra e del cielo. Quando il corpo è in grado di riconoscere la sensazione, s’abbandona il metodo a favore della spontaneità e del piacere che il corpo stesso ricerca. L’obiettivo è di arrivare al movimento nella consapevolezza che si realizza in relazione al proprio fisico e al proprio spirito. La danza può essere eseguita in tre modalità. La prima è rivolta a chi ha come obiettivo il miglioramento della propria salute ed è caratterizzata da movimenti lenti, dolci, flessuosi. La seconda è indicata per coloro che ricercano il benessere e comprende variazioni di velocità, movimenti più tonici e impegnativi. La terza è riservata all’applicazione marziale con l’inserimento di movimenti esplosivi e della concretezza applicativa dei movimenti stessi, che però vanno sempre accompagnati dal piacere di muoversi. Questo modo originale di insegnare e di intendere la pratica ha favorito negli adepti un fervore di ricerca che spesso li ha portati ad approfondire alcuni percorsi originali. Alcuni hanno intrapreso lo studio di nuove discipline, altri hanno continuato pratiche collaterali, come dimostra la viva testimonianza da loro stessi offerta nelle prossime pagine.

Feng shui

caratteri giapponesi per feng shuiQuesta nuova percezione corporea tendente a migliorare il proprio stato di salute e benessere ha permesso ad alcuni di creare propri percorsi. E' il caso di Francesco Rossena, il quale, alla fine degli anni Novanta intraprese un cammino personale che integrava la percezione corporea con l'architettura – o meglio con la sua professione di architetto – e con lo spazio in cui è immersa la vita. E' stato a partire dalla validità di questa esperienza corporea che piacevole, capace di rendere una sensazione di pace con se stesso e con gli altri, che è stato possibile pensare a un altro modo di vivere e praticare la professione.
Padroni di un rinato benessere che non è altro che gioia di vivere, si può infatti volgere l'attenzione alla ricerca di armonia con ciò che circonda ogni essere, a captare e sentire le tensioni e i mutamenti dello spazio che avvolge la vita stessa. La capacità di sentirsi costantemente in uno stato di armonia e benessere deriva in maniera ineluttabile anche dal livello di energia dei luoghi in cui si trascorre l'esistenza. Tra noi e la nostra casa e/o il nostro posto di lavoro, esistono delle relazioni profonde attraverso il governo delle quali si può veramente incidere sul proprio stato psico-fisico.
Nelle discipline orientali si parla sovente di qi, come si è visto, mentre la medicina tradizionale cinese concepisce un sistema di meridiani attraversati dal qi e di insorgenza della malattia a causa di blocchi o di eccesso di movimento nel flusso del qi, cosicchè un buon terapista agirà su questi meridiani per mantenere un flusso energetico ottimale e armonico. Lo farà nel principio della prevenzione, ponendo la sua attenzione sulla globalità dell'individuo che avrà di fronte, scrutandone la colorazione della pelle e delle unghie, esaminandone la postura, l'alimentazione, il sonno.
Si provi a pensare per un momento alla casa, al luogo di lavoro, al bar dove si incontrano gli amici come a dei veri e propri organismi viventi. In ogni casa scorre quindi il qi, essa è felice se il qi è favorevole, lo è un pò meno se è negativo, si ammala se il qi subisce delle deviazioni o dei rallentamenti. Ma, se la casa si ammala, inevitabilmente qualche ripercussione negativa colpirà anche i suoi abitanti.
Il feng shui si occupa da circa cinquemila anni di tutto ciò con il chiaro intento di prevenire, di fare in modo che ciò non accada. Feng shui significa vento e acqua, il vento disperde il qi, l'acqua lo trattiene. Si deve perciò capire quando il qi deve essere disperso e quando, al contrario, deve essere trattenuto. L'esperto di questa disciplina adatta l'ambiente affinchè il qi possa fluire liberamente e armoniosamente portando benessere, salute e prosperità alle persone che vivono in quell'ambiente, in una sorta di agopuntura della casa. Facendo delle scelte semplici e corrette si può percepire il desiderio di cambiamento e di crescita, si può tornare a volersi bene. Da questa presa di coscienza in avanti, le scelte saranno obbligate, per cui la casa sarà realizzata con materiali che tuteleranno salute e ambiente e che alla lunga faranno anche risparmiare denaro. Solo in questo modo la casa tornerà a sorridere.
Il feng shui muove da un concetto molto semplice, cioè che tutto quanto esiste in natura e ci circonda, compresi noi stessi, può essere classificato per elementi. Ne esistono cinque, legno, fuoco, terra, metallo, acqua, a ciascuno dei quali attengono particolari forme, materiali, colori e tra ciascuno di essi si intrecciano relazioni che possono essere di nutrimento, indebolimento e controllo. Anche ogni persona appartiene a un elemento che si può determinare in base ad anno e mese di nascita, così da individuare subito che tipo di relazione si vive con la propria casa o con il proprio posto di lavoro, oppure quali siano le nostre direzioni favorevoli e quali no. Capire quesa dinamica permette di calarsi nella fase della riflessione e dell'accettazione del cambiamento, capendo se stessi e ciò che ci circonda. Una frase di Kenji Tokitsu riassume tutto ciò: "ognuno di noi deve farsi carico della propria salute, della vitalità che ha ricevuto al momento della nascita e che è un patrimonio di cui siamo responsabili per tutta la vita. Il benessere non è altro che la gioia di vivere, la percezione concreta del nostro armonico stare, qui e ora, tra il cielo e la terra"

La meditazione: Zazen

immagine di un monaco zenLa ricerca del benessere attraverso i mezzi dell'economia e del consumismo appaiono sempre più inefficaci. La pace universale e la felicità dell'umanità si trovano nei principi dell'esistenza dell'universo che, per la loro semplicità, sono alla portata di ciascuno e dappertutto. Per ritrovarli, è però necessario compiere una vera rivoluzione interiore, costruendo un percorso che sappia ripristinare un equilibrio tra spirito e corpo.  Interiore, perché la vita in società educa gli uomini secondo convenzioni che insegnano loro a giudicare il bene e il male secondo criteri che sono più un'abitudine acquisita che una nozione realmente vissuta. La società rafforza i criteri dell'immagine rendendo parlare e apparire più importante che sapere e saper fare. Occorre fare un passo indietro e fermarsi, sedersi su un cuscino, incrociare le gambe, posizionare le mani sul basso ventre con la destra che raccoglie la sinistra con i pollici che si sfiorano, socchiudere gli occhi,  concentrarsi sulla respirazione e sulla corretta postura del corpo. Le ginocchia devono spingere verso il basso e la testa verso l'alto per riallineare la colonna vertebrale. Non si vince nulla, non ci si mostra a nessuno, possiamo permetterci di essere totalmente noi stessi senza timore di fare brutte figure. Zazen è questo: pratica, aldilà delle parole, qui e ora.

Durante la meditazione zen, la costante concentrazione sulla postura, sulla respirazione e sull'atteggiamento dello spirito svuota la mente dalle eccessive preoccupazioni, dall'affastellamento dei vari pensieri, dalle ansie e dai dolori. Pian piano ci si trova a muoversi in un orizzonte più ampio, senza i limiti e le contraddizioni di uno sguardo piccolo, egoistico, limitato in se stesso.
Dice Giuseppe Kugen Figini, maestro di chi scrive: "Praticare zazen genera forza, equilibrio, serenità e un senso di libertà che trasforma il nostro rapporto con il mondo, rendendolo spontaneamente più creativo. Con la pratica si diventa semplicemente migliori se si pratica con lo spirito mushotoku, ossia senza scopo e senza spirito di profitto, senza mai aspettarsi qualcosa in cambio. E' questa la dimensione più elevata della pratica, di tutte le pratiche". 

Katsugen undo

Il Katsugen undo è conosciuto in Italia come Movimento rigeneratore. Si tratta di una (non) pratica corporea messa a punto da Haruchika Noguchi (1909 o 1911-1976) intorno al 1940. Tecnicamente si può definire come allenamento del sistema motorio extrapiramidale o movimento spontaneo. Questo metodo, accessibile a tutti, fu appannaggio per un lungo periodo solo dei tecnici dell'associazione Seitai  e solo dal 1968 fu proposto da Itsuo Tsuda (1914-1984) all'esterno di essa. La pratica prevede che il movimento si manifesti spontaneamente dopo una serie di esercizi preparatori atti a rallentare l'attività corticale e indurre uno stato di quiete, in un abbandono del controllo difficile da realizzare per gli occidentali. Una volta che il controllo della mente sul corpo si allenta, il movimento si manifesta con forme differenti da persona a persona, con scuotimento degli arti, del capo, ma anche con risate, pianti, sbadigli, etc. E' anche frequente che la stessa persona cambi tipo di movimento da una seduta all'altra. Questo movimento spontaneo sblocca l'energia stagnante in qualche parte del corpo, pertanto è ovvio come non ci sia un insegnante che giudica il movimento giusto o sbagliato, ma ci si affidi solo alla sensazione personale. 

Shiatsu

caratteri giapponesi per shiatsuCome si è già visto nei capitoli precedenti, da migliaia di anni in Oriente domina la convinzione che tutte le parti e funzioni del corpo siano intimamente collegate in un sistema interdipendente. Ciò che colpisce una parte influenza il tutto, quindi nessuna affezione e infermità può essere veramente curata se considerata separatamente. Da questa stessa convinzione deriva l'arte di ricorrere a metodi naturali per mantenersi in buona salute, coltivata tramite l'alimentazione, il massaggio, la ginnastica e la manipolazione del corpo, da sempre usati come alternativa a medicinali e farmaci. La stessa malattia, più che come un nemico che colpisce alle spalle e che va combattuto, viene vista piuttosto come una disarmonia di quel complesso sistema globale che è l'essere umano.
Lo shiatsu, agendo sul sistema nervoso centrale e periferico, rientra a pieno titolo in quei metodi naturali per il mantenimento e il ripristino delle condizioni ottimali dell'individuo. I suoi benefici sono dunque frutto non di un'attività mirata alla cura delle patologie, ma di un naturale processo di autoguarigione dovuto al generale miglioramento della vitalità.
In termini tecnici, lo shiatsu agisce tramite pressioni su determinati punti eseguite con mani, gomiti e ginocchia, ma spesso si utilizzano anche manipolazioni e trazioni che aiutano a  stimolare nervi, muscoli, articolazioni, tessuto connettivo e sistema circolatorio. L'apprendimento necessita di notevole applicazione e tempo, solo considerando che i punti di pressione sono circa 780 e sono disseminati in tutto il corpo. 

 

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